Il lago d’Aral, situato tra Uzbekistan e Kazakistan, un tempo era conosciuto come il quarto lago più grande del mondo. La sua estensione era di circa 68.000 km² e la sua ricchezza alimentava intere comunità. Visto dall’alto, appariva come un mare interno immenso, fonte di vita, commercio e biodiversità.
Oggi, invece, il lago d’Aral è ricordato come uno dei più drammatici disastri ambientali del XX secolo: un mare quasi scomparso, che ha cambiato per sempre il destino delle popolazioni locali e del paesaggio circostante.
Per secoli il lago d’Aral è stato un punto di riferimento vitale nell’Asia Centrale. I fiumi Amu Darya e Syr Darya lo alimentavano con le loro acque, garantendo un ecosistema florido. Le sue sponde erano ricche di villaggi di pescatori: si calcola che negli anni ’50 l’industria ittica locale producesse più di 40.000 tonnellate di pesce all’anno, con oltre 60.000 persone impiegate nel settore.
La posizione strategica del lago d’Aral ne fece anche una via commerciale per trasporti e scambi culturali tra le popolazioni nomadi della steppa e i mercanti provenienti dalla Via della Seta.
Il disastro del lago d’Aral ebbe inizio negli anni ’60, quando l’Unione Sovietica decise di deviare i fiumi Amu Darya e Syr Darya per irrigare vaste piantagioni di cotone e cereali nelle regioni desertiche dell’Uzbekistan e del Kazakistan.
Queste opere idrauliche furono imponenti, ma prive di visione a lungo termine: l’acqua che un tempo alimentava il lago veniva quasi interamente sfruttata per l’agricoltura. Nel giro di pochi decenni, il livello dell’acqua si abbassò drammaticamente.
Tra gli anni ’80 e i primi anni 2000, il lago perse oltre il 90% della sua superficie, lasciando dietro di sé un deserto salato disseminato di carcasse di navi arrugginite. Le tempeste di sabbia sollevavano polveri tossiche, rendendo l’aria irrespirabile e danneggiando gravemente la salute degli abitanti.
Negli ultimi anni, soprattutto nella parte settentrionale situata in Kazakistan, sono stati avviati progetti di recupero. La costruzione della diga di Kokaral, finanziata dalla Banca Mondiale, ha permesso di stabilizzare e far risalire il livello del cosiddetto “Piccolo Aral”. Qui l’ecosistema sta lentamente tornando alla vita: il pesce è ricomparso e la pesca è ripresa, anche se in misura ridotta rispetto al passato.
In Uzbekistan, invece, gran parte del bacino rimane prosciugato. La città di Moynaq, un tempo porto fiorente, oggi è simbolo del disastro: le sue “cattedrali di ferro” – le navi arrugginite adagiate sulla sabbia – sono diventate un’attrazione turistica e un monito per il futuro.
Un viaggio al lago d’Aral non è solo turismo, ma un’esperienza intensa e memorabile. Camminare tra le navi abbandonate, esplorare il deserto salino dell’Aralkum e ascoltare le testimonianze degli abitanti di Moynaq significa toccare con mano la storia di uno dei più grandi cambiamenti ambientali della nostra epoca.
Visitare questa regione permette anche di scoprire l’ospitalità uzbeka e kazaka, la cultura delle steppe e i paesaggi suggestivi del Karakalpakstan, una delle aree meno conosciute ma più affascinanti dell’Asia Centrale.
Qui il viaggiatore non trova solo paesaggi straordinari, ma anche una profonda lezione di storia e di ecologia. È il simbolo di come l’intervento umano possa trasformare radicalmente la natura, ma anche di come l’impegno internazionale possa aprire la strada a una rinascita.
Chi visita l’Aral porta con sé ricordi forti e autentici, che trasformano il viaggio in un’esperienza di crescita personale.
Se sogni di vivere un’avventura fuori dai sentieri battuti, il lago d’Aral in Uzbekistan e Kazakistan è la meta perfetta. I nostri tour organizzati in Uzbekistan ti permettono di esplorare questa regione in sicurezza e con guide esperte parlanti italiano, scoprendo non solo Moynaq e l’Aralkum, ma anche città leggendarie lungo la Via della Seta come Khiva, Bukhara e Samarcanda.
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